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La tempesta imperfetta: la crisi del Mar Rosso e l’impatto sui traffici internazionali

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Se prendiamo una fotografia scattata al Canale di Suez a metà dello scorso anno, utilizzando i dati sintetizzati da SRM nel recente studio “The Suez Canal”, vediamo un’arteria vitale per gli scambi marittimi internazionali, con oltre 25mila transiti nel 2023 e da cui passa il 12% del commercio mondiale e il 30% dei flussi commerciali containerizzati, generando un valore di oltre 9,4 miliardi di dollari di pedaggi per l’Egitto. Le compagnie marittime delle grandi alleanze che varcano Suez rappresentano il 54% dei container che viaggiano via mare e ben il 40% dell’import-export italiano – per un valore complessivo di 154 miliardi di dollari – transitano dal Canale mediorientale.
Oggi questa fotografia può essere presa e strappata di netto. A creare lo strappo gli attacchi alle navi in transito da parte del gruppo terroristico yemenita degli Houthi che sta infiammando il Mar Rosso causando vittime tra i marittimi e ingenti danni alle navi e alle merci di passaggio. Danni che si riverberano con un’onda lunga sull’intero scenario internazionale. Secondo i dati UNCTAD di fine gennaio, i transiti lungo il Canale di Suez sono calati del 42% negli ultimi due mesi, innescando la ricerca spasmodica di rotte e modalità di trasporto alternative, ma difficilmente sostenibili nel medio-lungo periodo.

Le disruptions non arrivano mai sole

L’impatto della crisi del Mar Rosso inizia già a farsi sentire, soprattutto perché arriva a rendere ancora più complesso uno scenario internazionale carico di incertezza, dove si assiste ad un moltiplicarsi di disruptions. Focalizzandoci solo sul trasporto marittimo, infatti, l’inaccessibilità del Canale di Suez si somma alla situazione critica nel Mar Nero – a seguito del conflitto russo-ucraino – e alla crisi idrica del Canale di Panama dove a dicembre 2023 si è verificato un calo dei transiti del 36% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente.
Ma tutto ciò in cosa si traduce? La catena degli effetti di Suez si riverbera lungo le supply chain globali dal primo miglio fino al consumatore finale. A partire dal rialzo dei noli marittimi: nell’ultima settimana di gennaio le tariffe da Shanghai verso l’Europa sono aumentate del 256% rispetto a dicembre 2023, ovvero più che triplicate. Anche le tariffe verso la costa occidentale degli Stati Uniti, sebbene non attraversino Suez, sono aumentate del 162% (dati UNCTAD).
L’escalation dei costi di nolo è solo uno degli aspetti che compongono la complessità dei cambiamenti in atto: la ricerca di rotte alternative – principalmente il passaggio da Capo di Buona Speranza o lungo la rotta artica – sta generando un aumento dei costi operativi complessivi. L’allungamento delle percorrenze implica un aumento dei consumi di carburante – con una diffusa fame di energia e criticità di approvvigionamento – e un incremento delle emissioni. Crescono le spese per tamponare gli inevitabili ritardi e lievitano i costi di assicurazione.
Partendo da un simile contesto è difficile capire cosa ci aspetta oltre l’orizzonte di questa ennesima crisi: abbiamo per questo chiesto agli esperti del settore di aiutarci a delineare un quadro della situazione, pur sapendo che non potrà essere che uno scatto in corsa con contorni molto poco definiti.

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Alessandro Pitto, Presidente Fedespedi

“Da alcuni anni a questa parte ci troviamo a vivere scenari totalmente diversi da quelli che ci saremmo immaginati e che stavamo pianificando. Mentre imprese e istituzioni erano infatti alle prese con sfide del futuro – come digitalizzazione, sostenibilità e conversione dei modelli produttivi – ci si è trovati a dover fronteggiare eventi come la pandemia e gli ultimi conflitti che hanno messo profondamente in crisi i nostri sistemi su molteplici livelli.
Con l’esplosione della conflittualità nel Medio Oriente la catena logistica si trova ancora una volta davanti ad uno shock inatteso che rischia di avere conseguenze a medio-lungo termine sui traffici via mare e che riguarda ancora una volta il canale di Suez, considerato il 4° choke point al Mondo. Da qui passa infatti il 12% del commercio internazionale, il 10% del petrolio, l’8% di gas naturale. È difficile stimare quanto potranno crescere i noli, ma l’impatto in termini di costi di trasporto ci sarà. Secondo le ultime stime del Centro Studi Fedespedi – che considerano il costo del carburante, i costi di gestione e la tassa per il transito a Suez – il passaggio per il Capo di Buona Speranza ha un costo di circa 4,3 milioni di dollari, circa 1 milione in più rispetto al passaggio per il Canale di Suez (3,28 milioni di dollari).
Ulteriore elemento di preoccupazione è rappresentato dal rischio di marginalizzazione dei porti del Mediterraneo, che, rispetto ai competitor del Northern Range europeo, risultano svantaggiati da un maggior allungamento dei transit time (+14 giorni rispetto a +9) ma anche in termini di costi, con la forbice del differenziale fra i noli per il Mediterraneo e quelli per il Nord Europa che va progressivamente allargandosi, sino ad un’ampiezza che sfiora il 1.500 dollari per un container da 40’.
Questa crisi evidenzia come le catene logistiche debbano organizzarsi in ottica di resilienza e minimizzazione dei rischi. In quest’ottica, le imprese di spedizioni rappresentano un punto di riferimento strategico per gli operatori del commercio internazionale e, proprio in queste situazioni di criticità ed emergenza, sono in grado di affiancare le imprese per valutare e proporre soluzioni per contenere disservizi e ritardi”.

Pino Musolino, Presidente MEDPorts

Leggere la situazione attuale implica il riconoscimento di dinamiche complesse che ad oggi è difficile chiarire dove potranno portarci. Al momento possiamo distinguere due scenari principali: se, da un lato, la situazione attuale dovesse perdurare entro i 60 giorni (e consideriamo che ne sono già trascorsi almeno 30 al momento in cui stiamo parlando) ci troveremmo certo a far fronte al picco inflattivo a seguito dell’aumento dei noli, dell’incremento del consumo di energia e del rialzo dei costi assicurativi con effetti diretti sui consumatori finali. Si tratta però di uno scenario che il mercato sarà in grado di gestire, come altre crisi transitorie del passato.
Se però il difficile contesto attuale dovesse perdurare oltre i 60-90 giorni o addirittura diventare strutturale, lo scenario sarebbe ben più grave. Oltre ai fenomeni descritti e già in atto, arriveremmo in breve tempo a una situazione di scarsità dapprima di materie prime e di seguito di semilavorati e prodotti finiti. La contrazione della produzione sarebbe inevitabile, così come il conseguente calo dell’occupazione e il rischio di stagflazione e di disordine sociale. In poche parole: la morte dell’economia europea che si ritroverebbe in una fase di instabilità e debolezza politico-economica paragonabile a Weimar 1933, avverando quello che sembra essere un disegno di divisione in due del mondo occidentale, attuato nell’ultimo decennio con un preciso programma di guerre calde e guerre fredde.
Un quadro simile può apparire un’esagerazione? Io credo, per contro, che non ci si sta preoccupando abbastanza. Serve però sangue freddo per cambiare rotta e ristabilire l’ordine riprendendo il controllo delle acque internazionali nel Mar Rosso – anche per scongiurare effetti emulativi come sta accadendo nel Mar Giallo – e ridisegnando le supply chain ragionando in ottica sistemica.
Si vis pacem, para bellum”.

Alessandro Santi, Presidente Federagenti

“L’effetto a cui stiamo assistendo a seguito delle azioni militari a danno delle navi transitanti nel Mar Rosso in entrata o uscita da Suez ci fa rivivere quello che è successo in parte durante il periodo dei lock-down a macchia di leopardo del periodo Covid e della chiusura del canale di Suez a causa della Ever Given messasi di traverso nel canale stesso. Ritardi nella catena logistica derivanti dai necessari adattamenti della stessa, potenziali congestionamenti di porti, aumenti dei costi di approvvigionamento e allo scaffale saranno problemi con cui convivere nelle prossime settimane. Il caso Ever Given ha poi avuto una durata limitata nel tempo anche se gli effetti si sono propagati sia geograficamente che temporalmente su ampia scala. Oggi la durata del fenomeno terroristico non è determinabile e probabilmente non sarà breve: questo comporta il rischio che scelte logistiche emergenziali diventino strutturali. In questa deprecata ipotesi il Mediterraneo e in particolare l’Italia ha solo da perdere: le linee container stanno circumnavigando l’Africa (-70% in nolo pagante via Suez da ottobre 2023) e molte si fermano ad Algeciras (attualmente 68 navi in porto o rada) o Gibilterra per poi proseguire nella maggior parte dei casi verso nord e distribuire in una logica hub&spoke i container nel Mediterraneo. In questa situazione molti i porti, soprattutto quelli adriatici, inevitabilmente sono penalizzati. Per quanto riguarda le rinfuse solide l’impatto per il momento è relativamente minore e per ora si tratta sostanzialmente di ritardi nelle forniture e di aumento dei costi. Nel settore dei liquidi dopo un momento iniziale di apparente tranquillità qualche segnale sugli energetici si comincia a registrare soprattutto per quanto attiene l’LNG con il blocco delle spedizioni del Qatar. Tutto questo fa ritornare indietro ai problemi del recente passato dal Covid in poi (disaccoppiamento degli approvvigionamenti, accorciamento delle filiere, near-shoring, aumento degli stock): forse non abbiamo imparato bene la lezione?”.

Gabriella Reccia, Vice President WISTA Italy – Women’s International Shipping and Trading Association

È ragionevole aspettarsi nei prossimi mesi un fiorire di contenziosi relativamente alla legittimità delle deviazioni o, meglio, ridefinizioni della rotta verso il Capo di Buona Speranza, ove non condivise tra le parti. Difatti, benché armatore e noleggiatore abbiano generalmente un primo comune scopo che la merce arrivi a destino integra, nel più breve tempo e nella maniera meno onerosa possibile, talvolta, in circostanze critiche, si evidenziano diverse “sensibilità” e la sintesi delle stesse non è sempre facile. Fermo restando che ogni contratto è a sé, l’eventuale mancanza o inefficacia di adeguate clausole che riservino all’armatore, e prima ancora al comandante, una certa discrezionalità nel valutare il rischio e le decisioni da intraprendere, potrebbe creare non poche difficoltà all’armatore che, non lo dimentichiamo, sente la responsabilità in primis della sicurezza dell’equipaggio e, in generale, del viaggio. Ciò è tanto più vero per i contratti stipulati fino a novembre 2023, allorquando gli attacchi terroristici erano ancora sporadici e apparentemente destinati a navi aventi un collegamento con Israele, scenario che, come sappiamo, è presto mutato allargandosi indistintamente a tutti i mercantili modificando sensibilmente il rischio previsto.
Al complesso quadro contrattuale, si aggiunga che l’eventuale illegittimità della deviazione, ove acclarata, potrebbe comportare carenza di copertura assicurativa P&I”.

Stefano Messina, Presidente Assarmatori

“Navighiamo a vista e un’emergenza con le caratteristiche di quella in atto rende impossibile qualsiasi previsione anche sul breve termine. Allo stato attuale l’impatto economico derivante dall’escalation della tensione nel Mar Rosso e nello Stretto di Hormuz ha prodotto per il sistema-Italia effetti contenuti: i prezzi del petrolio e del gas sono stabili, e la stessa considerazione vale per le materie prime e per i noli, sia quelli relativi ai carichi secchi sia per i trasporti di carichi liquidi. Si segnalano incrementi delle rate di nolo per il trasporto containerizzato, in particolare per l’import da Far East, imputabili alla necessità di recupero dei maggiori costi per rotte più lunghe (la circumnavigazione dell’Africa), e a una conseguente revisione della catena logistica indispensabile per garantire frequenza, regolarità e tempestività nei servizi di consegna delle merci. Si tratta davvero di un’istantanea, ovvero di una analisi che fotografa una situazione in costante mutazione. Se questa crisi dovesse protrarsi, allora i problemi potrebbero essere decisamente più rilevanti e impattanti sia in termini di aumento di costi che andranno a gravare sul consumatore finale, sia per quanto concerne i volumi di traffico che saranno ancora movimentati dai porti italiani, potenzialmente penalizzati se la rotta che prevede la circumnavigazione dell’Africa diventerà l’unica percorribile. Ovviamente a vantaggio degli scali del Nord Europa”.

Francesca Saporiti

Estratto dell’articolo pubblicato sul numero di gennaio-febbraio 2024 de Il Giornale della Logistica

 


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