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Imballaggi e rifiuti: le novità del Regolamento PPWR

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Rendere gli imballaggi più sostenibili e ridurre i rifiuti di imballaggio nella UE, armonizzando nel contempo il mercato interno degli imballaggi e promuovendo l’economia circolare. Questo l’obiettivo del nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, il cui testo è in attesa di essere approvato in via definitiva dal Parlamento Europeo in seduta plenaria.

Il Regolamento (cc.dd. “Packaging and Packaging Waste Regulation”) ha sollevato numerose polemiche da parte delle istituzioni e delle autorità italiane – l’Italia è stato l’unico paese tra i 27 della UE ad aver votato contro la prima bozza di documento -, nonché dagli operatori privati del settore. Innanzitutto, non si comprendeva quale fosse la necessità di intervenire su una regolamentazione già esistente e, dal punto di vista italiano, anche efficace. In questa domanda, secondo molti, è anche implicita la risposta: la normativa è stata efficace solo per la nostra nazione. L’Italia è riconosciuta come leader in Europa per il riciclaggio dei rifiuti. Secondo il Rapporto sulla coesione della Commissione europea, infatti, il nostro Paese ha un tasso di riciclo dei rifiuti dell’84% circa, ben superiore alla media europea.

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La situazione attuale

L’attuale Direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (“PPWD”, Direttiva 94/62/CE) è stata adottata per la prima volta nel 1994 ed è stata più volte oggetto di revisione. Stante il carattere di Direttiva e non di Regolamento, in essa vengono delineate le linee guida per gli stati membri al fine di regolamentare la gestione dei rifiuti di imballaggio. Numerosi studi e analisi hanno dimostrato che la disciplina del 1994 non è riuscita a ridurre l’impatto ambientale in misura omogenea nei paesi dell’Unione.

Trovare delle regole comuni non è semplice ma la situazione attuale lo richiede. Da una decina d’anni la quantità di rifiuti di imballaggio continua ad aumentare: + 25% dal 2010. Senza ulteriori misure di contenimento, è previsto un ulteriore aumento del 19% entro il 2030, con un +46% per gli imballaggi di plastica.

L’opposizione dell’Italia

L’ultima bozza del Regolamento pubblicata ha recepito le insistenti richieste del Governo italiano, il quale si opponeva non tanto agli obiettivi della norma quanto alle modalità di raggiungimento degli stessi. La prima bozza andava nella direzione di favorire il riutilizzo dell’imballaggio piuttosto che il suo riciclo. Nel Paese con i più alti tassi di raccolta differenziata e riciclo in Europa, nonché con aziende dall’alto tasso innovativo in fatto di riciclo chimico, plastiche compostabili e macchinari per lo smaltimento, non paragonare le due metodologie avrebbe rappresentato un danno ingente al sistema economico e sociale: l’Italia ha sempre sostenuto che la contrapposizione tra riciclo e riuso fosse ideologicamente sbagliata. Inoltre, la prima bozza conteneva una serie di misure che potevano facilmente essere adottate dalle grandi multinazionali ma che avrebbero rappresentato un onere ingente per le PMI. A seguito dell’intervento italiano, molti degli obblighi imposti non si applicheranno o verranno limitati se la plastica sarà compostabile o verrà raccolta e smaltita: due punti di forza dell’ecosistema italiano. In aggiunta, le nuove norme esenteranno le microimprese dal conseguimento di tali obiettivi e introdurranno la possibilità per gli operatori economici di formare raggruppamenti di massimo cinque distributori finali per conseguire gli obiettivi di riutilizzo.

I dubbi

È evidente come gli interessi in gioco siano molteplici e su più livelli. La produzione di imballaggi genera un fatturato pari a circa 400 miliardi di euro nel solo territorio UE ed è caratterizzata da elevati livelli di commercio transfrontaliero

L’accordo interviene in maniera unitaria per conformare le linee guida ma, purtroppo, non in tutti i settori. Ad esempio, per quanto concerne il comparto ortofrutticolo, sarà vietato utilizzare gli imballaggi di plastica monouso che pesino meno di 1.5 kg, a meno che non vi sia un riciclo del materiale pari ad almeno l’85%, ovvero se la frutta o la verdura abbia subito un processo di trasformazione; oltre a ciò, gli stati membri possono fissare alcuni criteri di qualità e sicurezza alimentare che giustifichino ulteriori deroghe al divieto. Le conseguenze potrebbero essere disastrose dal momento che ogni singolo paese potrebbe imporre dei criteri di qualità differenti con oneri consistenti in capo ai produttori e agli operatori transnazionali.

Gli impatti sul settore logistico

Possiamo facilmente intuire che gli operatori della logistica rappresenteranno uno snodo cruciale per le imprese se vogliono – e dovranno – adeguarsi alla legge. Proviamo a pensare alla previsione che fissa il 50% di massimo spazio vuoto negli imballaggi che si trasformerà in una richiesta per i vettori di logistica, produttori e importatori di minimizzare il peso e il volume degli stessi.

Inoltre, le imprese coinvolte nella produzione e distribuzione dovranno rivedere le catene di approvvigionamento al fine di garantire il riutilizzo efficiente e sicuro degli imballaggi venduti. Da una parte ciò potrebbe implicare una maggiore standardizzazione degli imballaggi, l’adozione di materiali più robusti e la promozione di pratiche logistiche volte a minimizzare gli sprechi, ma, dall’altra, richiederebbe la creazione di un sistema logistico inverso, che consenta la raccolta, la pulizia, la riparazione e il ritorno degli imballaggi vuoti, con conseguenti investimenti di sicuro impatto economico/patrimoniale.

Andrea Filippo Mainini

Estratto dell’articolo pubblicato completo sul numero di Aprile 2024 de Il Giornale della Logistica


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Il Giornale della Logistica

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