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Quattro chiacchiere con Riccardo Mangiaracina, Politecnico di Milano: l’evoluzione inesorabile

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Riccardo Mangiaracina, professore del Politecnico di Milano, founder del B2C Logistics Center e responsabile scientifico dell’Osservatorio sull’eCommerce B2C smonta alcuni “falsi miti” sul commercio digitale. Qual è il vero ruolo giocato dall’emergenza nella crescita del canale? Quali i motivi del ritardo italiano rispetto ad altri mercati? Quale il settore più promettente? Una cosa è certa: la logistica è (e sarà) sempre più strategica

L’Osservatorio e-commerce B2C studia, da oltre vent’anni, l’evoluzione del commercio elettronico in Italia, confrontandola con quella degli altri Paesi. Dopo il boost del 2020, quali sono oggi le prospettive per il comparto?
Sicuramente il 2020 è stato un anno particolare per l’eCommerce ma mi piacerebbe allargare la prospettiva, anche per smontare quello che io e il mio gruppo di lavoro riteniamo un falso mito.

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Prego.
Dal 1999 ad oggi il commercio elettronico è sostanzialmente sempre cresciuto in doppia cifra, vivendo ere differenti. In principio a fare le performance migliori sono stati i servizi, biglietti per il trasporto, gli eventi, il turismo, le assicurazioni. Tutto quello che in qualche modo era più facile dematerializzare. Poi, insieme alla maggior consapevolezza dei consumatori, ha iniziato a crescere in modo continuo e sostenuto anche la vendita on line dei prodotti. Il settore insomma, stava già correndo.

Questo significa quindi che l’e-commerce, tutto sommato, non aveva bisogno della spinta data dall’emergenza sanitaria?
Con il team dell’Osservatorio eCommerce B2C abbiamo fatto un esercizio: cercare di capire come sarebbe andato il canale se non ci fosse stata la pandemia, applicando alla vendita online di prodotti fisici i tassi di crescita mediati e ponderati degli ultimi tre anni.

Con quale risultato?
Che, in due anni, l’emergenza sanitaria ha contribuito alla crescita di un settore che cuba complessivamente 32 miliardi di fatturato per una percentuale inferiore al 10%. In pratica, e questa affermazione è una sintesi, è come se la pandemia, dopo due anni, avesse accelerato l’avanzamento del mercato nella generazione di fatturato di un mese.

Un impatto quindi molto meno dirompente di quanto siamo abituati a credere…
L’impatto dirompente c’è stato, ma non a livello di fatturato, piuttosto a livello culturale.

In che senso?
Non è vero che magicamente il commercio si è spostato dall’offline all’online. A cambiare radicalmente è stata piuttosto la percezione dei nostri retailer sull’importanza, anzi direi sull’urgenza, di attivare opportune strategie di presidio di questo canale.

È nota l’arretratezza del mercato italiano rispetto alle performance segnate de altri paesi Europei.
La differenza nel tasso di penetrazione – cioè il peso dei consumi online sui complessivi – misura bene il fenomeno: in Italia siamo intorno al 10%, in Francia e Germania nell’intorno del 20% e in Inghilterra del 30%.

Come si spiega questo ritardo?
Tantissime sono le ragioni potenziali: dalla mancanza di fiducia del consumatore italiano verso gli acquisti a distanza, all’adozione non sempre elevata dei pagamenti elettronici, alla logistica che nel nostro Paese, oggettivamente, presenta maggiori complessità rispetto altrove. Volendo identificare la causa principale, io guarderei sicuramente al ritardo con cui i retailer hanno compreso la rilevanza strategica di questo canale e del digitale in generale, congelando gli investimenti in questa direzione.

Ora la situazione sembrerebbe essersi sbloccata: cosa è cambiato?
I retailer si sono spaventati – prima con l’arrivo di Amazon e ora con la pandemia – e hanno deciso di giocare questa partita in modo più serio.

Quanto serio?
Dipende dai settori. In quello dell’informatica e dell’elettronica di consumo 1/3 del valore complessivo passa dallo dall’online. L’abbigliamento – sulla carta uno dei più difficili perché, ci siamo sempre detti, un vestito va visto, toccato, provato – è cresciuto e sta crescendo tantissimo, insieme ai suoi player: all’inizio Yoox, poi le case di moda, a seguire i siti di vendite private e infine i retailer, sbarcati online con una gamma sempre più ampia, un prezzo competitivo e un ottimo servizio. Insomma online c’è del valore e quando si dà valore al consumatore, il consumatore compra.

A non essere matura, quindi, non era la domanda, ma l’offerta?
Esatto. Del resto per un retailer che vuole conquistare il canale online, le sfide sono tante e variegate, e in tutte, in qualche modo, le economie di scala e di scopo contano.

In che senso?
Immaginiamo, anche se questa è una semplificazione, che l’obiettivo di un sito di eCommerce sia fare fatturato, dato dalla moltiplicazione del numero di visite, per il tasso di conversione (ossia dalla capacità di trasformare una visita in un ordine), per il valore medio dell’ordine. È evidente che, per evitare che il fatturato sia zero, tutti fattori devono essere positivi.

Partiamo dai primi due: generazione di traffico e conversion rate. Come fare per avere valori interessanti?
Definire corrette strategie di indicizzazione, impresa tutt’altro che banale, nel primo caso e offrire valore sul proprio sito in termini di ampiezza di gamma, prezzo e servizio nel secondo. Si tratta delle tre classiche leve del commercio che qui però sono esasperate e favoriscono i grandi retailer che possono permettersi acquisiti speculativi ed economie di scala. È proprio in questo senso che nell’eCommerce le dimensioni contano.

E per quanto riguarda il valore dello scontrino?
Dipende chiaramente dal settore di riferimento, ma a fare la differenza è la capacità del retailer di profilare il consumatore, tramite tecnologie sempre più avanzate basate sull’intelligenza artificiale per la gestione dei big data, al fine di proporre l’acquisto di prodotti consoni e l’usabilità della piattaforma, che i big player ottimizzano continuamente.

Se le dimensioni contano, per i piccoli non c’è speranza?
Certo che c’è. Ma vanno prese le decisioni giuste circa la strategia online da perseguire, a volte rinunciando a sviluppare asset digitali di proprietà. Anzi, se si parte da zero, senza competenze, senza budget ingenti la possibilità di collezionare in un insuccesso è altissima, come pure quella di confermare eventuali scetticismi iniziali sull’efficacia dell’eCommerce in una profezia che si autoavvera.

Come fare allora?
Una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare in modo intelligente proprio i big dell’eCommerce che sono, prima di tutto, grandi aggregatori, piattaforme, marketplace, come Amazon, E-bay, siti di vendite private, e di couponing. Tutti devono gran parte della loro forza alle imprese che arricchiscono la loro offerta.

Qual è, secondo lei, il settore più promettente, in termini di sviluppo del canale online?
Sicuramente il Food&Grocey. È lì che i consumatori concentrano i consumi e destinano ampie fette di budget. Ed è lì che, in prospettiva ci saranno i maggiori volumi e le maggiori opportunità per i retailer.

Quali sono i numeri del comparto?
Il settore Food& Grocery comprende il Grocery alimentare (i prodotti da supermercato) che nel 2021 cresce del +39% sfiorando gli 1,4 miliardi, l’enogastronomia, in aumento del +17% peri 750 milioni di euro e il food delivery, in crescita del 56% e con un fatturato superiore a 1,4 miliardi. È la componente alimentare a trainare la crescita del comparto che, dopo il boom del 2020 (+84%), cresce quest’anno di un ulteriore +38%.

  • Nome: Riccardo Mangiaracina
    Data di nascita: 7 settembre 1978
    Informazione personali e professionali: Padre di due figlie di 12 e 7 anni, Riccardo Mangiaracina è professore associato di Logistica e Supply Chain al Politecnico di Milano, dove si è laureato nel 2003 in Ingegneria Gestionale svolgendo poi l’intero percorso accademico. Attualmente è titolare dei corsi di Gestione dei Sistemi Logistici e Produttivi per la Laura triennale, e di Digital Business Innovation per la laurea specialistica. Inoltre divide con il prof. Alessandro Perego il corso di Logistic Management.
    Contemporaneamente, Riccardo si è sempre occupato di innovazione digitale in particolare di e-commerce: è direttore scientifico dell’Osservatorio sull’eCommerce B2C, dell’Osservatorio Digital B2B, dell’Osservatorio Digital Export. Ha fondato con alcuni colleghi il B2C Logistics Center, che si occupa della progettazione di reti distributive, di infrastrutture eCommerce e Last Mile Delivery.
    Hobbies: Sportivissimo, Riccardo ama e pratica la corsa, lo sci, la vela, il tennis. Si è cimentato e, tempo permettendo, si cimenta ancora in tutti gli sport tranne uno: il calcio.
  • L’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, ha l’obiettivo di produrre e diffondere conoscenza sulle opportunità e sugli impatti che l’eCommerce B2c genera sull’impresa e sul sistema Paese, attraverso ricerche basate su solide evidenze empiriche e spazi di confronto indipendenti. La Ricerca ha l’intento di supportare i player del settore nella comprensione delle dinamiche in atto e nella formulazione delle strategie di presidio del canale online. In ottica di comunicazione, l’Osservatorio mira a fare cultura e a diffondere conoscenza sullo stato attuale ed evolutivo dell’eCommerce B2c in Italia e sugli impatti generati sull’impresa e sul sistema Paese, sensibilizzando i decision maker. In quest’ottica prosegue la collaborazione con Netcomm, il consorzio del commercio elettronico italiano che raggruppa un’ampia compagine di operatori dell’eCommerce operanti nel nostro Paese.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Il Giornale della Logistica

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